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MEDITAZIONE VIPASSANA: COS’È E COME SI PRATICA

La meditazione vipassana è una tecnica di meditazione buddista tradizionale che ebbe origine nel sesto secolo a.C. Il suo scopo è quello di scoprire la nostra vera natura, così come fece il Buddha, per conoscerci nuovamente e comprendere che la nostra felicità non dipende da null’altro se non noi stessi. In Occidente è diventata molto popolare con il nome di mindfulness .

Origini e significato della meditazione vipassana

“Vipassana” è un termine pali (una lingua antica strettamente imparentata con il sanscrito) che significa “vedere chiaramente” oppure “guardare dentro”.

Si tratta di una delle più antiche tecniche meditative al mondo, derivante dalla tradizione buddista theravada. Veniva praticata 25 secoli fa dal Buddha, il quale affermò che tramite essa aveva riscoperto una pratica ancora più antica. Dopo la sua illuminazione nel 528 a.C., il Buddha trascorse i rimanenti 45 anni della sua vita insegnando la via per uscire dalla sofferenza. Vipassana è sostanzialmente l’essenza di questi precetti: l’insegnamento del Buddha è noto con il termine generale Dharma.

Per cinque secoli la meditazione Vipassana ha aiutato milioni di persone in India, la patria del Buddha. Quest’era vide l’India prosperare sotto il regno dell’imperatore Asoka (273-236 a.C.) che unificò il Paese e diede inizio ad un’epoca di pace e floridità. Asoka mandò anche ambasciatori del Dharma a tutti i regni vicini (incluso quello che è diventato il Myanmar nei tempi moderni), diffondendo così sia la pratica che le parole del Buddha.

Dopo circa 500 anni, tuttavia, la pratica di Vipassana era quasi scomparsa dall’India. Fortunatamente fu mantenuta in vita da una continua catena di insegnanti di meditazione nel vicino Myanmar (Birmania) fino ai giorni nostri.

Ai nostri giorni, la meditazione Vipassana è stata reintrodotta in India e in tutto il mondo principalmente grazie all’operato di S. N. Goenka, un industriale birmano di origini indiane che apprese la tecnica di Vipassana da Sayagyi U Ba Khin, un famoso insegnante laico che fu il primo ad insegnare gli occidentali in inglese. U Ba Khin lo nominò suo erede nell’insegnamento della tecnica di Vipassana nel 1969.

I precetti della meditazione vipassana

Il principio cardine di questa meditazione è “vedere le cose come sono in realtà”. La Vipassana si concentra principalmente sul corpo e su molti aspetti di esso, dalla postura al respiro fino ad arrivare alle sensazioni, e anche sulla mente grazie alle azioni contemplative. La meditazione vipassana è un metodo razionale per purificare la mente da tutto ciò che è causa di angoscia e dolore. Questa semplice tecnica non invoca l’aiuto di un dio, spirito o qualsiasi altro potere esterno, ma fa affidamento esclusaivamente sui nostri sforzi. Vipassana è un’intuizione che dissolve il pensiero convenzionale per arrivare a percepire la mente e la materia così come sono: impermanenti, insoddisfacenti e impersonali. La costante pratica gradualmente purifica la mente, eliminando tutte le forme di attaccamento materiale che ci hanno accompagnato nella nostra vita. Man mano che l’attaccamento viene eliminato, il desiderio e l’illusione vengono gradualmente diluiti. Il Buddha identificò questi due fattori, il desiderio e l’ignoranza, come le più grandi radici della sofferenza. Quando saranno finalmente rimossi, la mente toccherà qualcosa di permanente oltre il mondo che cambia. Quel “qualcosa” è la felicità immortale e sopramondana, chiamata Nibbana in Pali. La meditazione vipassana riguarda il momento presente e prevedere il rimanere nel “qui e ora” il più a lungo possibile. Consiste nell’osservare il corpo (rupa) e la mente (nama) con nuda attenzione. Vedere attraverso le nostre illusioni La parola “vipassana” è composta da due parti. “Passana” significa vedere, cioè percepire. Il prefisso “vi” ha diversi significati, uno dei quali è attraverso. L’intuizione di Vipassana taglia letteralmente la tenda dell’illusione nella mente, donando un tipo di visione che percepisce le singole componenti separatamente. L’idea della separazione è particolarmente rilevante in questa meditazione, perché l’intuizione funziona come un bisturi mentale, differenziando la verità convenzionale dalla realtà ultima. Con “vedere attraverso” s’intende un processo che ci coinvolge per tutto l’arco della giornata e non limitato solo al momento in cui viene praticata la meditazione vipassana. In altre parole occorre avere la consapevolezza di quello che si fa in ogni momento, cercando di apprendere tutte le sensazioni che scaturiscono dalla nostra attività mentale. Quest’atteggiamento è fondamentale per capire quando siamo in preda a delle emozioni negative, che possono essere paura, rabbia o momenti di cieca impulsività. Quando ci lasciamo andare a queste sensazioni, il nostro corpo modifica il respiro, e questo è un chiaro indice che qualcosa non va. Interpretare questa condizione quando il corpo ce ne dà avviso è il pilastro su cui si basa la Vipassana: possiamo prendere il controllo delle emozioni che hanno il sopravvento sulla nostra mente, ridurle a mere sequenze di fatti senza subirne il travolgimento, e di fatto far scomparire ogni negatività e impurità mentale che ci affligge. Come praticare la meditazione vipassana Il primo passo fondamentale per intraprendere questa pratica è sviluppare la concentrazione, attraverso la pratica samatha. Questo obiettivo è tipicamente raggiunto attraverso la consapevolezza della respirazione. Concentra tutta la tua attenzione, di momento in momento, sul ritmo del tuo respiro. Nota le sottili sensazioni del movimento dell’addome che sale e scende. In alternativa, focalizzati sulla sensazione dell’aria che passa attraverso le narici e tocca le tue labbra – cerca di avvertirla più intensamente che puoi. Mentre ti concentri sul respiro, noterai che altre percezioni e sensazioni continuano ad apparire: suoni, movimenti del corpo, emozioni, ecc. Basta notare questi fenomeni mentre emergono nel campo della consapevolezza, per poi tornare alla sensazione di respirazione. L’attenzione è mantenuta nell’oggetto della concentrazione (la respirazione), mentre questi altri pensieri o sensazioni sono semplicemente come “rumore di sottofondo”. L’oggetto che è al centro della pratica (per esempio il movimento dell’addome) è chiamato “l’oggetto primario”. E un “oggetto secondario” è qualsiasi altra cosa che sorga nel tuo campo di percezione – attraverso i cinque sensi, oppure attraverso la mente (pensieri, ricordi, sentimenti). Se un oggetto secondario aggancia la tua attenzione e la allontana, o se fa apparire il desiderio o l’avversione, devi concentrarti sull’oggetto secondario per un momento o due, etichettandolo con una nota mentale, come “pensiero”, “ricordo”, “preoccupazione”, “desiderio”. Questa pratica è spesso chiamata “notazione”. Una nota mentale identifica un oggetto in generale ma non nei dettagli. Quando un suono ti disturba, ad esempio, etichettalo come “udito” invece di “auto”, “voci” o “cane che abbaia”. Se si verifica una sensazione spiacevole, annota “dolore” o “sensazione” invece di “mal di schiena”. Quindi riporta la tua attenzione all’oggetto della meditazione primaria. In questa fase acquisirai la “concentrazione di accesso”, che ti permetterà di rivolgere totalmente l’attenzione all’oggetto primario della pratica. Osservalo senza attaccamento, lasciando sorgere pensieri e sensazioni che gradualmente scompaiono spontaneamente. L’etichettatura mentale (spiegata sopra) è spesso usata come un modo per impedirti di essere trascinato via dai pensieri e per vederli oggettivamente. Di conseguenza svilupperai una visione chiara dei fenomeni che osservi e che sono pervasi dai tre “segni dell’esistenza”: impermanenza (annica), insoddisfazione (dukkha) e impersonalità (annata). Di conseguenza, l’equanimità, la pace e la libertà interiore si svilupperanno spontaneamente in relazione a questi input.


Namasté







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