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=== PRATYAHARA ===


“La vera rivoluzione per raggiungere la libertà è quella interiore, qualsiasi rivoluzione esterna è una mera restaurazione della solita società che a nulla serve” J. Krishnamurti

“Pratyahara di per sé è Yoga, in quanto è la parte più importante nello Yoga Sadhana.” Swami Shivananda

“Il conseguimento del quinto gradino sulla via dello Yoga è necessario per raggiungere l’Auto Realizzazione. Senza di esso nessun ulteriore progresso è possibile. L’interiorizzazione della mente nello stato chiamato dagli yogi “Pratyahara” è una condizione essenziale per la libertà della mente stessa e solo da ciò può derivare la capacità di usare appropriatamente questa mente interiorizzata per il fine che ci si è posti. Se si seguiranno fedelmente gli insegnamenti ricevuti e si comprenderanno i risultati di ogni singolo passo, o gradino, sulla scala dell’evoluzione spirituale si vedrà da sé che le cose stanno in questo modo.” Paramansa Yogananda.

Che cos’è Pratyahara

Pratyahara è il quinto degli otto stadi o membra o anga, dello Yoga, secondo il sistema classico ed è probabilmente il meno noto, eppure, se non lo pratichiamo, rischiamo che lo yoga rimanga solo un insieme di prescrizioni, astinenze, posture, esercizi respiratori e simboli, ma senza progredire verso l’ascolto di noi stessi che può condurci molto lontano, fino a raggiungere il vero scopo della vita, cioè l’esperienza diretta dell’Assoluto, cui possiamo gradualmente prepararci con le pratiche yogiche. Lo yoga infatti, è un vasto sistema di pratiche spirituali per la crescita interiore, finalizzata all’unione dell’individuo con la divinità, che è la Realtà che sta alla base dell’universo apparente e transitorio. Raggiungere una tale unione è lo stato dello yoga perfetto. Tuttavia questo percorso può durare una vita e non può prescindere, secondo lo yoga, dal conoscere ed applicare tutti gli strumenti a nostra disposizione ormai da secoli. Pratyahara è l’anello di congiunzione tra i primi quattro anga detti inferiori o esterni- bahiranga yoga – yama, niyama, asana e pranayama, e i tre successivi, detti superiori o interni – antaranga yoga – dharana, dhyana e samadhi, che è l’unione con il Divino. Tutti gli anga dello Yoga contengono, in qualche modo, aspetti di pratyahara: gli yama e nyama aiutano a controllare i sensi; le asana consentono di controllare gli organi sensoriali e gli organi di azione; i pranayama portano l’attenzione all’interno con il respiro; pratyahara ritira l’attenzione dalle normali distrazioni e dharana focalizza la concentrazione su un oggetto particolare. Generalmente, quando cominciamo a praticare lo yoga, in particolare l’hatha yoga, ci concentriamo molto sulla parte fisica, ossia sulla tecnica delle asana, sulla respirazione e sulla concentrazione come livello base per la meditazione, ma ci soffermiamo molto meno su pratyahara, ossia il “ritiro dei sensi”, che è invece la chiave che ci porta dal mondo esterno al nostro mondo interno. In realtà, pratyahara viene praticato naturalmente quando, durante la sessione di yoga, portiamo l’attenzione verso l’ascolto di noi stessi e meglio ancora, di colui che è sempre con noi, dalla nascita a quando facciamo il trapasso, ossia il nostro corpo fisico.

E mentre ci ascoltiamo e magari ci guardiamo dentro, lasciamo andare quello che ci accade intorno e quando siamo molto concentrati nelle asana o nei pranayama o nella meditazione, può capitare di non avere più percezione del mondo circostante: abbiamo gli occhi chiusi, i suoni intorno a noi non ci disturbano più, togliamo l’attenzione al tatto, al gusto e all’olfatto, per sentire solo ciò che accade all’interno. Questo vuol dire che la nostra attenzione è focalizzata su come ci sentiamo piuttosto che su cosa stiamo facendo e siamo presenti nel momento attuale; in altri termini, stiamo allenando le nostre sopite capacità di coscienza e consapevolezza di noi stessi ed abbiamo la possibilità di fare esperienza degli altri corpi, oltre quello fisico: possiamo cominciare a percepire l’esistenza del nostro corpo eterico. Tuttavia, è chiaro, che nell’ottica del percorso di crescita, non è agevole passare direttamente dalle asana alla meditazione, perché ciò comporta un salto dal corpo alla mente, dimenticando ciò che si trova in mezzo. Per effettuare correttamente questa transizione bisogna, infatti, sviluppare un adeguato controllo sul respiro e sui sensi, ossia su ciò che collega il corpo alla mente. Ed è qui si dimostrano fondamentali pranayama e pratyahara, che possono essere ben considerati due prerequisiti per un’efficace meditazione: con pranayama controlliamo le energie vitali, con pratyahara otteniamo la padronanza dei sensi.

Il termine Pratyahara è composto da due parole sanskrite: prati e ahara. Ahara significa “cibo” o “tutto ciò che introduciamo nel nostro sistema dall’esterno”; prati è una preposizione avente significato di “contro” o “via da”. Pratyahara significa letteralmente “controllo di ahara”, “ottenere padronanza sulle influenze esterne”, “ritiro dei sensi verso la loro origine”, “adunata”, “raccolta presso se stessi”, “radunare i sensi”. Con ciò non si intende soltanto il ritiro della mente dai “sensi deputati alla percezione di oggetti esterni” – vista, udito, gusto, olfatto e tatto – perché ciò rappresenta una prima dimensione di pratyahara, ma la sua caratteristica peculiare è costituita dal ritiro della mente dai “sensi deputati alla percezione di oggetti interni”, che è una dimensione di gran lunga più complessa ed implica un processo molto più articolato. Nel pensiero yogico infatti, ci sono tre livelli di ahara, o cibo: il primo livello è il cibo materiale che sostiene il corpo fisico; il secondo livello è quello delle impressioni sensoriali – vasana – che introducono le sostanze sottili che nutrono la mente e l’intelligenza – le sensazioni del suono, tatto, vista, gusto e olfatto; il terzo livello di ahara è costituito dalle relazioni sociali, le persone che ci stanno a cuore e che nutrono l’anima. Il concetto di cibo, quindi, è esteso

olfatto; il terzo livello di ahara è costituito dalle relazioni sociali, le persone che ci stanno a cuore e che nutrono l’anima. Il concetto di cibo, quindi, è esteso alla persona nella sua interezza, pertanto ahara dovrebbe essere puro, sia che vada a nutrire il corpo, la mente, i sensi, l’intelligenza o la psiche. Dunque pratyahara è duplice: implica ritirarsi da cibo, impressioni sensorie ed associazioni mentali errate, e contemporaneamente aprirsi a cibo, impressioni ed associazioni corrette, poiché possiamo controllare efficacemente le nostre impressioni mentali se nello stesso tempo teniamo un’alimentazione corretta e giuste relazioni. Avviene che, ritirando la nostra consapevolezza dalle impressioni negative, pratyahara rafforzi la capacità della mente di immunizzarsi: proprio come un corpo in buona salute può resistere alle tossine e agli agenti patogeni, così una mente sana può allontanare le influenze sensoriali negative intorno ad essa e prepararsi ad una buona meditazione.

2. Pratyahara nei testi classici dello Yoga

2.1 Yoga Sutra di Patanjali Il maharishi Patanjali così definisce pratyahara nel secondo capitolo, verso 54 (Libro del metodo, Sadhana Pada) degli Yoga Sutra: “Quando la mente è ritratta dagli oggetti dei sensi, anche gli organi dei sensi si ritraggono dai loro rispettivi oggetti, e così imitano la mente. Ciò è conosciuto come pratyahara”. E nell’aforisma successivo dice: “Da ciò proviene la completa padronanza dei sensi.” Per controllare la mente, di cui ha chiarito la natura ed i meccanismi di funzionamento nel capitolo precedente, bisogna poter gestire il resto del corpo di cui gli organi dei sensi sono lo strumento. Essi sono come animali che imitano istintivamente il loro padrone, il quale, se è debole e soggetto alle passioni, indurrà i sensi ad imitarlo e addirittura ad accentuarne le debolezze; quando invece la mente è forte ed auto controllata, gli organi dei sensi diventano i suoi servitori ordinati ed obbedienti e ne imitano la forza, così che ogni movimento del corpo esprime l’autocontrollo della mente. È interessante notare che l’esercizio di osservare i pensieri, le paure e i desideri dominanti che abitano continuamente la nostra mente è un buon metodo per riconoscere come questi sono come ritmici suoni di tamburo, che continuano a disturbarci nel sottofondo dei pensieri. E la mente, vedendosi osservata, si calmerà gradualmente perché non c’è critica esterna più efficace e penetrante della nostra semplice auto-osservazione.

A mio parere, si intuisce il ruolo essenziale di pratyahara già dal secondo aforisma del primo capitolo (Samadhi Pada), anche se l’autore non ne sta parlando direttamente: “Lo yoga è il controllo delle onde-pensiero della mente”.

Secondo Patanjali, la mente (chitta) è costituita da tre componenti: manas, buddhi e ahamkar. Manas è la facoltà di registrare le impressioni raccolte dai sensi nel mondo esteriore. Buddhi è la capacità discriminativa che classifica le impressioni e reagisce ad esse. Ahamkar è il senso dell’ego che accumula, personalizza ed interiorizza queste impressioni e così costruisce la propria esperienza personale della vita.

La conoscenza o esperienza è definita un’onda-pensiero della mente – vritti – e quando un evento o un oggetto del mondo esteriore è percepito dai sensi, nella mente nasce un’onda-pensiero nella quale l’ego si identifica pensando che sia reale, ed invece si inganna. La realtà è oltre e la mente non può che esserne solo un riflesso, uno strumento di conoscenza, un oggetto di percezione, per quanto complesso e fondamentale, ma non è essa stessa la realtà. Essa è fuori e dentro di noi, ed è Dio, l’Atman di Patanjali, a cui ricongiungerci. Perciò, essendo l’Atman distinto dalla nostra mente e quindi non soggetto alle sue onde-pensiero, è necessario tenerle sotto controllo per conoscere il nostro vero Sé.

Descrivendo l’azione delle onde-pensiero, i commentatori di Patanjali usano l’immagine del lago: se la sua superficie è mossa da onde, l’acqua s’intorbida e non si può vedere il fondo. E il lago è la mente, il fondo è l’Atman.

Ma non basta che il controllo sia temporaneo, bisogna innescare un processo di continuo ascolto di se stessi per riconoscere gli effetti delle onde-pensiero che nel tempo costituiscono il nostro carattere e cominciare a modificarle. Patanjali parla di samskara come dell’effetto dell’azione continua delle onde-pensiero che creano continuamente altre onde-pensiero.

Sempre usando la metafora del lago, le onde non disturbano solo la sua superficie ma, con la loro azione continua, creano banchi di sabbia e ciottoli sul fondo e questi sono più permanenti e solidi delle onde stesse e sono appunto i samskara. Già sostituire le onde-pensiero che non rispettano yama e niyama con altre che vi siano fedeli significa apportare un graduale cambiamento della persona dal profondo.

Da ciò deduco che pratyahara è presente in ogni momento di un sincero percorso yogico e la sua importanza è ulteriormente confermata nei due aforismi successivi in cui si dichiara: “Allora l’uomo dimora nella sua vera natura”. E, per contrappunto: “In altri momenti, quando non è nello stato dello yoga, l’uomo si identifica con le onde-pensiero della mente”. Usando la metafora, quando il lago della mente diventa calmo e limpido, l’uomo si riconosce per quel che veramente è, è stato e sempre sarà. Sa di essere l’Atman e non soffre più a causa delle onde-pensiero ma anzi è capace di osservarle e modificarle gradualmente, perché esercita la sua facoltà di discriminazione e non attaccamento.

2.2 Baghavad Gita Questo libro è forse il più bello che sia mai stato scritto da mano umana, per la sua enorme portata conoscitiva, non solo della filosofia indiana ma dell’uomo di ogni tempo, razza e credo religioso, spirituale e sociale. Al riguardo di pratyahara, la Bagnavad Gita, nella sua profonda sapienza, ci dice, in particolare nel capitolo 2, verso 58 che: “Colui che ritrae i suoi sensi dai loro oggetti esterni, come fa una tartaruga che ritrae le sue membra nel guscio, è ben stabilito nella saggezza”. Ecco che pratyahara è associato all’immagine di una tartaruga che ritira le sue zampe nel guscio il quale simboleggia la mente, mentre le zampe sono i sensi ed afferma che un perfetto stato di pratyahara consente allo yogi di essere nella saggezza, cioè ben indirizzato verso la purificazione di se stesso. Naturalmente, educare i sensi non è un atto di sola disciplina mentale o di umana intelligenza, secondo la Gita, ma è il risultato di un’unione molto più profonda, poiché è vero che il liberatore è in noi, ma questo non è certo la nostra mente o l’intelligenza o la volontà personale, sebbene ne siano gli strumenti, ma è il Signore in cui – la Gita ce lo dirà alla fine – dobbiamo prendere integralmente rifugio. Infatti, già nel verso 61 dice: “Ritornato padrone dei sensi, si mantenga (lo yogi) saldo nell’unione con Me, prendendomi come scopo supremo. In colui che domina i sensi, la saggezza è saldamente stabilita.” In effetti, il secondo capitolo della Gita è interamente dedicato a quello che è definito lo yoga della volontà intelligente, ossia di colui cha agisce senza agitarsi in tutti i sensi, spinto dal Sé mentale di superficie ma con serena equanimità, giusta volontà, e saldamente stabilito nella Saggezza. E poi la Gita spiega che costui che agisce così, vive senza turbarsi in qualsiasi circostanza e al verso 56 dice: “Colui che non si turba mentalmente in mezzo ai dolori e che va esente dal desiderio in mezzo ai piaceri, colui che ha abbandonato la passione, la paura e la collera, è ritenuto un saggio dall’intelligenza stabile”. E ancora al verso 57, che precede la suddetta immagine della tartaruga, conferma: “Colui che non prova attaccamento per cosa alcuna e, allorquando sopravvenga il male e il bene, non si affligge e non si rallegra, in lui la saggezza è saldamente stabilita”. Questi versi mostrano l’enorme importanza che ha l’atteggiamento da assumere in pratyahara per lo yogi che vuole sinceramente evolvere nel suo cammino personale, il quale è imprescindibilmente anche spirituale, qualsiasi sia il credo al quale appartiene o anche se libero da ogni forma di religione ufficiale ma esclusivamente saldo nei precetti etici degli yama e niyama. E per concludere, Krishna enuncia chiaramente gli effetti negativi su colui che non ha il controllo dei sensi, nei versi 62 e 63: “Nell’uomo che indugia assorto negli oggetti dei sensi, nasce l’attaccamento per essi; dall’attaccamento nasce il desiderio, dal desiderio la collera; la collera conduce allo smarrimento, lo smarrimento alla perdita della memoria e la perdita della memoria produce la distruzione dell’intelligenza; e in seguito a questa distruzione l’uomo giunge alla rovina.” La progressione verso il buio è impressionante e, a mio parere, è sufficiente aggiungere il verso 66 per concludere questo quadro dalle tinte molto fosche: “L’uomo non unito [al Sé] non possiede né intelligenza né concentrazione; colui che manca di concentrazione è privo di pace; e senza la pace come potrebbe essere felice?” L’immagine che ne risulta è di un uomo neanche più definibile come tale, ma di un essere che vaga nel buio, smarrito, disorientato e soprattutto totalmente incapace di vivere una vita degna e di realizzare se stesso.

2.3 Gheranda Samhita Quest’opera è stata scritta probabilmente tra il XVII e il XVIII secolo dal saggio Gheranda ed è un vero e proprio trattato di Hatha Yoga perché affronta le varie tecniche, fino a alle diverse forme di Samadhi in senso cronologico, gradino per gradino. Rispetto agli Yoga Sutra di Patanjali, lo yoga qui proposto è costituito da sette anga o parti e non si fa menzione di yama e niyama, forse perché Gheranda sottintende che lo yogi sia già in possesso di certe doti morali e di equilibrio mentale. Inoltre è interessante notare che l’enunciazione di pratyahara precede quella di pranayama e segue quella di mudra e bandha.

Quest’ordine di presentazione, per quanto non debba essere considerato rigido, si spiega con l’importanza che viene data alle asana: non si tratta solo di posture fisiche ma di un atteggiamento mentale. Lo yogi infatti, mentre assume una posizione e gradualmente non prova più alcuno sforzo, anzi le tensioni si sciolgono, mantiene la sua mente attenta e vigile, per cogliere ogni più piccolo mutamento della coscienza, mentre il corpo “dorme”.

Ecco, questo è già pratyahara: lo yogi perde così la coscienza del proprio corpo fisico e s’immerge in stati di consapevolezza sempre più profondi. Solo ora, secondo Gheranda, i suoi nervi, ghiandole, diaframma e respiro hanno un ritmo più naturale e spontaneo e sono pronti per intraprendere la pratica dei pranayama, cui pure la Gheranda attribuisce enorme importanza.

Il pranayama, infatti, conduce direttamente alla percezione delle energie sottili a cui l’adepto è stato già preparato dai mudra, che sigillano e dai bandha, che legano il soffio vitale – prana- e provocano il risveglio di Kundalini.

Il segreto tra un’autentica pratica yogica ed un semplice esercizio ginnico sta proprio nell’atteggiamento interiore: l’atleta si identifica con il proprio corpo per superarne continuamente i limiti, ma è destinato a vedere decadere la possanza fisica e alla fine rimane lo stesso uomo, poiché in questo modo la sua coscienza non può evolvere.

Lo yogi, invece, pratica le asana in pratyahara per dimenticare il corpo, disidentificarsi da esso, pur amandolo quale unico strumento per vivere questa vita e tuttavia desiderando di trascenderlo, per allargare il raggio della propria coscienza, fino all’Infinito. E già in vita, sa di essere diverso dal proprio corpo, percependo la propria esistenza in un flusso ininterrotto di Esistenza, Consapevolezza e Gioia.

Nella Gheranda, ogni anga è finalizzato all’acquisizione di una determinata qualità o livello spirituale. Nell’ordine abbiamo:

1. shatkarman (sei pratiche): purificazione (shodhana);

2. âsana (posture): forza (dridhatâ);

3. mudrâ (sigilli, gesti): fermezza (sthiratâ);

4. pratyâhâra (ritrazione dei sensi): quiete (dhîratâ);

5. prânâyâma (controllo del soffio): leggerezza (lâghavâ);

6. dhyâna (meditazione): percezione immediata del Sé (pratyaksha);

7. samâdhi (enstàsi): distacco (nirlipta).

Il quarto capitolo, quello dedicato a pratyahara, è piuttosto sintetico ma puntuale nell’affermare in cinque versi, che “la semplice conoscenza di esso distrugge i nemici dell’uomo, quali i desideri”. E si ottiene “controllando la mente, dovunque essa vada”, sia che si tratti di elogi che di insulti, di dolore, o di piacere. “Non bisogna ritenere nessuna idea ma mantenere la mente distaccata da ogni circostanza”.

Come il pensiero, anche i sensi vanno tenuti sotto controllo, sia che la mente si posi su un odore piacevole che spiacevole, un gusto dolce, acido, piccante o di altro tipo, sempre va riportata “all’interno” e tenuta sotto controllo perché la sua tendenza è ad esteriorizzarsi, invece il difficile è distaccarsi ed invertire la direzione del flusso mentale verso la sua fonte nel cervello e poi interiorizzarlo verso i misteri più profondi della vita reale e “conoscere le cose così come esse sono”.

3. Moderni maestri di Yoga

3.1 Quattro forme di Pratyahara Esistono numerose interpretazioni e commenti dei testi classici dello yoga e ci sono vari maestri spirituali che nel tempo ci hanno enormemente arricchito con le loro intuizioni ed illuminazioni, così che la profonda e talvolta oscura saggezza dei testi antichi ci è più accessibile e comprensibile. Questo è tanto più importante per noi, uomini del mondo occidentale, perché apparteniamo ad una società che ha costruito un sistema conoscitivo, o che tale si ritiene, radicalmente differente o addirittura opposto a quello tramandato dai maestri antichi e moderni. A proposito di pratyahara e di dharana, ossia la meditazione, che sono strettamente collegati, il maestro Swami Shivandanda, per esempio, ci ha lasciato molti studi sul pensiero e la mente e su come controllarli, perché non siano di ostacolo all’evoluzione spirituale dell’uomo, che da sempre ricerca il fine ultimo della sua vita. Anche grazie ai suoi studi, possiamo affermare che ci sono quattro forme di pratyahara: Indrya pratyahara – Controllo dei sensi Prana pratyahara – Controllo del prana Karma pratyahara – Controllo dell’azione Mano pratyahara – Ritiro della mente dai sensi Prima di procedere nella descrizione di ciascuna forma di pratyahara, ritengo che bisogna chiarire il concetto di “sensi” per lo yoga ed il loro rapporto con i chakra. I sensi nella cultura spirituale indiana sono le “indrie”, parola che letteralmente si traduce “tentacoli” della coscienza e comunemente noi consideriamo solo i cinque sensi. In realtà, dal punto di vista dello yoga, l’essere umano è come un edificio con dieci porte: cinque di entrata e cinque di uscita. Conoscere ed usare attivamente i nostri dieci “sensi” è una forma importante di meditazione attiva che porta conoscenza e consapevolezza per il raggiungimento dello stato interiore di calma e distacco, che è pratyahara.

Nello specifico, abbiamo:

Jnanendriya – i cinque organi dei sensi – (Jnana = conoscere) ciò che serve all’Anima o abitante interiore per conoscere: odorato, gusto, vista, tatto, udito. Questi organi sono attratti dall’influenza di Manas, la mente, e contribuiscono a formare il corpo mentale. Karmendriya – i cinque organi dell’azione – (Karma=agire): ciò che serve all’Anima o abitante interiore per agire: escrezione, riproduzione, moto (piedi), abilità manuale (mani), parole. Questi organi sono manifestazione di Chitta, il cuore, e costituiscono un corpo energetico chiamato corpo dell’energia, o forza vitale, o prana. In aggiunta a questi “dieci sensi”, ci sono le cinque categorie degli oggetti dei relativi sensi: Visaya o Tanmatra – i cinque oggetti dei primi cinque sensi: formano la base dell’universo oggettivo, così l’essenza del suono è lo spazio, l’essenza del tatto è nell’aria, l’essenza della forma nel fuoco, l’essenza del gusto nell’acqua e l’essenza dell’odorato nella terra. Attraverso l’auto-osservazione dei nostri dieci sensi e degli loro oggetti, nella meditazione attiva, si giunge alla piena consapevolezza dei sensi e di come si collocano lungo il canale spinale, cioè nei sette chakra di base. Questo consente di orientare il processo del meditare. Uno schema della collocazione di jnanendriya e karmendriya nei chakra di base è il seguente:

Indrya Pratyahara – Controllo dei sensi È la prima forma di pratyahara. I nostri sensi sono talmente sovraccaricati di informazioni che l’istinto più forte è il rifiuto di sospendere la percezione sensoria esterna ed interna, tuttavia la volontà di essere aperti o chiusi all’atto del ritiro dei sensi segna la linea di demarcazione tra coloro che vogliono sperimentare la profondità della meditazione e coloro che vogliono soltanto ottenere qualche grado di rilassamento mentale. La pratica costante nel tempo opera un sostanziale cambiamento interiore, grazie al quale il ritiro dei sensi diventa naturale e può avvenire in qualsiasi luogo, anche al crocevia di una strada trafficata e rumorosa. Indrya pratyahara prevede diverse pratiche o atteggiamenti che rafforzano la volontà e riducono la dipendenza dai dieci sensi:

Corretta assunzione di impressioni sensorie: sono l’alimento principale della mente. Liberazione dalle distrazioni del mondo esterno: occorre evitarle praticando un vero e proprio digiuno. Concentrazione su impressioni uniformi: il mare, il cielo, la luce di una candela e tutto ciò che è armonioso consente alla mente di purificarsi e controllare i sensi, così come dopo un digiuno alimentare si reintroducono pochi e semplici alimenti base per far ripartire naturalmente l’apparato digestivo, ripulito dalle tossine del cibo spazzatura. Creazione di impressioni positive esteriori ed interiori: proporre “esperienze” positive ai nostri cinque sensi, ad esempio la natura, gli odori, oppure usare la nostra immaginazione per visualizzare immagini positive che si sostituiscano a quelle provenienti dall’esterno e donino tranquillità e serenità. Con la comprensione di questi processi, si può arrivare a stabilire e gestire un determinato stato interiore. Il Laya Yoga è lo yoga del suono e della luce interiore. nella quale ci focalizziamo sui sensi sottili per ritirarci da quelli grossolani. Questo ritiro nel suono e nella luce interiore è uno strumento di trasformazione della mente e un’altra forma di indriya pratyahara. Prana Pratyahara – Controllo del prana Il controllo dei sensi richiede lo sviluppo e il controllo del prana, che non è il solo respiro ma l’energia vitale che pervade tutto il corpo, seguendo i flussi – nadi – responsabili di tutta l’attività cellulare. La rigidità del corpo è dovuta a blocchi del prana con conseguenti accumuli di tossine. Anche i sensi seguono il prana e se questo non è sviluppato non è possibile controllarli, così come avverrà che, se il prana è disturbato, anche i sensi lo saranno. Si può dire che pranayama serve per prepararsi a pratyahara, poiché è con questo che il prana è raccolto ed interiorizzato. I testi yogici descrivono molti metodi per ritirare il prana varie parti del corpo, iniziando dalle dita dei piedi e finendo ovunque vogliamo porre la nostra attenzione – la cima alla testa, il terzo occhio, il cuore o uno degli altri chakra. Forse il metodo migliore di prana pratyahara è visualizzare il processo di morte, nel quale il prana si ritira dal corpo, staccando tutti i sensi dai piedi alla testa. Karma Pratyahara – Controllo dell’azione Karma Pratyahara è compiere l’azione in cui ci troviamo coinvolti, rinunciando a qualsiasi beneficio o premio, ovvero offrendo alla divinità o all’umanità, qualsiasi beneficio possa derivare dall’azione compiuta. La Bhagavad-Gita, capitolo 2, verso 47, recita: “Tu hai diritto all’azione, ma in nessun caso ai suoi frutti, non devi compiere l’opera per i frutti che essa ti procura, ma nemmeno devi attaccarti alla non-azione”. Secondo lo yoga, la felicità non consiste nell’ottenere ciò che vogliamo ma nello smettere di desiderare ciò che è fuori da noi, quindi nell’abbandono di ogni pensiero egoistico che abbia come fine qualunque tipo di guadagno personale. Tuttavia, non possiamo controllare gli organi di percezione, in indrya pratyahara, senza padroneggiare anche gli organi di azione, che ci permettono di intervenire sul mondo illusorio esterno e che creano ulteriore coinvolgimento degli organi percettivi, in una spirale di falsa identificazione. La felicità non è nell’ottenere ciò che la nostra personalità illusoria desidera, ma nell’essere in uno stato interiore che non dipende dall’esterno. Il Karma Yoga consiste proprio nel compiere azioni disinteressate e rendere la nostra vita un rituale sacro. Mano Pratyahara – Ritiro della mente dai sensi Mano Pratyahara implica il distrarre l’attenzione da qualsiasi cosa o pensiero non autentico o reale. Pur essendo strettamente connessa ad indrya pratyahara, è la forma più alta e più difficile, perché prevede il controllo degli organi di senso, dell’energia vitale e dell’azione. Quando i sensi sono ritratti, si è di fronte alla mente, nel punto cioè da cui parte la reale pratica della concentrazione, che poi dovrebbe portarci alla meditazione. La mente, tuttavia, è per sua natura instabile ed irrequieta perché è come se possedesse i sensi internamente, essendo il recettore ed il coordinatore di tutte le esperienze sensoriali, ma come suggerisce il saggio Vyasa, essa è come l’ape regina la quale, quando va a dormire, è seguita dalle sue api; similmente i sensi vanno dove è la mente, quindi la chiave è concentrare la mente su di un unico punto. Nel primo capitolo degli Yoga Sutra, Patanjali dimostra che la mente, se non controllata, viene continuamente modificata da tutti gli oggetti o soggetti che le sono presentati o verso i quali è rivolta, perché è adattabile come l’acqua. Questa condizione alterata dell’organo interno è chiamata la sua “modificazione”, da impedire per stabilire uno stato di calma interna. La mente opera attraverso ajna, il sesto chakra, il quale è localizzato tra le sopracciglia ed è il centro di coordinamento dei cinque chakra sottostanti, che quindi dipendono da esso. In effetti, la mente è, sia il contenitore delle informazioni di conoscenza importate dalle cinque porte di entrata degli organi dei sensi (Jnanendriya) e delle loro controparti fisiche, sia il coordinatore delle istruzioni date ai cinque organi di azione (Karmendriya) ed alle loro controparti fisiche. Infine la coscienza, che opera attraverso sahashrara, il settimo chakra, provvede a fornire l’energia necessaria alla mente per operare e, secondo le necessità, agli altri cinque chakra, per mezzo della batteria di energia rappresentata dal midollo allungato o Bocca di Dio: essa è quella parte del cervello che è situata alla base del cranio, dove si unisce alla colonna vertebrale e, secondo la filosofia yogica, in quel punto entra l’energia cosmica che dona la pace e la gioia di Dio all’essere umano. 4. Alcune tecniche per praticare pratyahara Premesso che esistono molte tecniche da sperimentare per ogni ramo dello yoga e che ci sono molteplici descrizioni e varianti nei testi antichi e moderni, talvolta discordanti tra loro, ho provato a selezionare e descrivere brevemente alcune delle pratiche più note per esercitare pratyahara. Per indrya e mano pratyahara sono molto efficaci shanbhavi mudra e yoni mudra. Shanbhavi mudra – “meditazione con sguardo fisso al centro delle sopracciglia”: è una tecnica che consente di recedere dalle impressioni sensoriali, mantenendo aperti gli organi di senso ma ritirando l’attenzione da essi; in questo modo la mente non è distratta dai sensi. E’un mudra potente per risvegliare ajna chakra che è proprio localizzato tra le sopracciglia ed è descritto nella Gheranda Samhita, capitolo 3, verso 59: “concentra lo sguardo tra le sopracciglia e medita sul tuo Sé “che è l’Atman, cioè Dio che risiede nel tempio del corpo. Fisicamente, rinforza i muscoli degli occhi e rilassa le tensioni accumulate in quell’area; mentalmente, calma la mente, eliminando rabbia e stress emozionale; sviluppa concentrazione, stabilità mentale ed assenza di pensieri. Non ultimo, consente di entrare nel piano o mondo astrale. La Gheranda Samhita, infatti, considera questo mudra talmente importante da affermare che colui che si esercita con intensità, sforzo e lunga pratica, acquista qualità divine, poiché diventa capace di trascendere corpo, mente ed intelletto ed unirsi alla Coscienza Cosmica. Yoni mudra – “unificazione dei sensi”- “mudra della chiusura delle sei porte”- “atteggiamento del grembo o della sorgente”: è un altro metodo per liberarsi dalle distrazioni del mondo esterno: la Gheranda Samhita, capitolo 3, versi da 32 a 36 dice: “Siedi in siddhasana. Chiudi le orecchie, gli occhi, il naso e la bocca con i pollici, indici, medi, anulari e mignoli”. Fisicamente, l’energia e il calore delle mani e delle dita stimolano e rilassano i nervi e i muscoli del viso; mentalmente, introverte ed aumenta la consapevolezza perché le porte dei sensi vengono chiuse e la mente è fatta fluire all’interno e verso le regioni astrali. La Gheranda la definisce “segreta” e capace di donare il Samadhi. Questa pratica è conosciuta anche come baddha yoni asana – “la posizione della sorgente chiusa”; devi mudra – “atteggiamento della grande dea”; parangmukhi mudra – “il gesto di focalizzazione interiore”; sambhava mudra – “il gesto dell’equilibrio” e shanmukhi mudra – “chiusura dei sei cancelli”. Per prana pratyahara ci sono molte tecniche, oltre quelle che riporto: Yoga nidra – “la visualizzazione del processo della morte”: la forza vitale si ritira dal corpo, disattivando tutti i sensi, dopo un certo tempo. La posizione di partenza è shavasana –“il cadavere” – perché consente di modificare le onde cerebrali e creare quiete profonda ed un intenso rilassamento. Mentre si appare come addormentati, la coscienza lavora a livelli più profondi di consapevolezza poiché ci si allontana dall’esterno e si ascoltano le tensioni del corpo, rilasciandole con il respiro ed intanto ci si ricarica di prana luminoso, purificandosi ad ogni espirazione. Con questa pratica si possono rimuovere le tensioni che si accumulano nei sistemi muscolari, emozionali e mentali, pur essendo talvolta, profondamente radicate e si ristabilisce armonia in tutto il proprio essere. Ai livelli più profondi di yoga nidra è possibile “viaggiare” in modo cosciente oltre i limiti del proprio corpo e della propria mente, fino a percepire il proprio Sé e l’Assoluto. Bhramari pranayama – “respiro del ronzio dell’ape”: seduti in siddhasana con gli occhi chiusi, si tappano le orecchie con gli indici o i medi e si porta la consapevolezza al centro della testa. Espirando lentamente, si emette un ronzio profondo e uniforme, come quello dell’ape. La vibrazione del suono ronzante crea un effetto calmante sulla mente e sul sistema nervoso, inoltre induce uno stato meditativo e dirige la consapevolezza all’interno. Nadi shodhana pranayama è la purificazione del sistema psichico attraverso la “respirazione alternata nelle narici” ed utilizzando tutte e quattro le fasi respiratorie. Stimola la concentrazione per il controllo del respiro, attiva gli emisferi cerebrali ed armonizza le energie, oltre a molteplici altri benefici. Bhastrika pranayama – “la respirazione a mantice” – equilibra e rinforza il sistema nervoso inducendo pace, tranquillità e concentrazione mentale prima della meditazione. Kapalbhati pranayama – “respiro che purifica la parte frontale del cervelletto”– oltre ad altri benefici, purifica i nadi e rimuove le distrazioni sensoriali, dando energia alla mente e donando uno stato di luce nella regione frontale del cervello. Praticare le asana è una forma di karma pratyahara, poiché si esercita il controllo sugli organi dell’azione per tutto il tempo in cui si mantiene la posizione. Lo scopo della pratica delle asana è proprio quello di influenzare, integrare ed armonizzare tutti i livelli dell’essere: fisico, pranico, mentale, emozionale, psichico e spirituale. Tra le più note, si possono annoverare, per meditare, oltre a shavasana- il cadavere; le posizioni sedute come sukhasana – posizione facile; ardha padmasana e padmasana – posizione del mezzo loto e del loto; siddhasana – asana del potere e perfezione. Inoltre, sono efficaci le sequenze di surya namaskara – il saluto al sole – e chandra namaskara – il saluto alla luna: oltre a numerosi benefici fisici, preparano per il risveglio spirituale e la conseguente espansione della consapevolezza. Anche le asana di equilibrio come vrikshasana – l’albero- sviluppano il cervelletto inducendo stabilità fisica e nervosa. Conclusioni Lo studio di pratyahra è stato un’occasione speciale per me, giunta al momento opportuno, poiché ora sento di avere bisogno di fare un salto di qualità nella mia vita: tentare di riconoscere le emozioni prevalenti che condizionano maggiormente i miei stati d’animo, pensieri ed azioni, attraverso lo studio di me stessa nel silenzio, ma anche del modo in cui entro negli ambienti e mi relaziono con le persone, chiunque esse siano. L’approfondimento di questo aspetto dello yoga è stato a tratti illuminante, perché ho scoperto di conoscere gli strumenti che lo yoga propone per la mia crescita umana ma, al tempo stesso, ho dovuto ammettere a me stessa di non essere ancora in grado né di applicarli con costanza né di avere ancora sviluppato un’idonea capacità di essere in pratyahara, cioè pienamente presente a me stessa, in molte circostanze della vita quotidiana, forse anche durante le sessioni di yoga. In definitiva, questo studio è diventato un monito a percorrere con coraggio e fiducia la strada che ho intrapreso, nella certezza di poggiare umilmente i miei piedi su un terreno calcato migliaia di anni fa da uomini illuminati, che hanno tramandato una saggezza straordinaria, pur vivendo la mia personale esperienza di vita. Il valore di pratyahara per me, al di là della tecnica e della conoscenza dei testi classici, è dato dalla consapevolezza che, senza giudizio, posso vedere realmente chi sono, come è la mia vita e le relazioni che ho costruito e, se lo ritengo giusto, posso prendere le distanze da tutto ciò che ostacola il mio cammino interiore, poiché, se non vivo nella piena verità di me stessa, non posso godere pienamente della vita e del mio tempo, che è l’unica cosa che, in verità, io possegga. È il momento che io faccia tesoro degli insegnamenti dello yoga che è parte di me da anni, e di provare a fare della mia vita un percorso costantemente coerente con la saggezza che sto conoscendo ed amando. Bibliografia e fonti Aforismi Yoga di Patanjali – A cura di Swami Prabhavananda e Christopher Isherwood; Edizioni Mediterranee Lo Yoga della Baghavad Gita – Sri Aurobindo; Edizioni Mediterranee Gheranda Samhita – La scienza dello Yoga- Ma Yoga Shakti; Edizioni Mediterranee Raja Yoga – Swami Kriyananda; Ananda Edizioni Il grande libro dello yoga – Maria Angelillo; Xenia Grandi Economici Asana Pranayama Mudra Bandha – Swami Satyananda Saraswati; Edizioni Satyananda Ashram Italia e Yoga Publications Trust Guida ai chakra – Laura Tuan – De Vecchi Edizioni Pratyahara: The forgotten Limb of Yoga – David Frawley Pratyahara- Swami Sivananda Pratyahara – Il quinto gradino dello Yoga: http://kriyayoga.altervista.org Pratyahara – La rivoluzione interiore: http://suryanamaskara.altervista.org Pratyahara – Il ritiro dei sensi: https://byogabyou.com Pratica Yoga: www.ventodoriente.com Le perle del tantra – David Donnini


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